LE ORIGINI
Greci, Romani, Normanni, Bizantini, Borboni. Le dominazioni di maggiore peso nel Mezzogiorno d’Italia sono passate anche da qui.
Ma le tracce più evidenti sono quelle dell’età paleocristiana, e maggiormente legate a civiltà che qui fiorirono tra il IV e V secolo avanti Cristo. Risalgono a tale periodo infatti la gran parte dei reperti finora affiorati tra le zolle di questa terra. Non sono mai state avviate campagne di scavi nella zona., e questo in sè non è un fatto anomalo. Innumerevoli sono i siti in Italia in cui non è mai stato ritenuto interessante avviare scavi archeologici. Tuttavia, non sono molti i luoghi che possono vantare una concentrazione così elevata di reperti e segni del passato. Su un’area vastissima, che arriva a sfiorare almeno il 30% del territorio del comune di Salandra, è possibile delimitare zone di elevato interesse storico e archeologico.
Prendiamo ad esempio il Monte Sant’Angelo. Presenta sulla sommità l’abside di un edificio di culto, sul quale mai sono state effettuate ricerche, e resti di una cinta muraria composta da grossi blocchi squadrati, di cui molti spostati in basso probabilmente a seguito di movimenti franosi. Tutto lascia pensare che l’antica Acalandrum, citata da Plinio nella sua “Naturalis Historia” fosse ubicata proprio qui. Era un insediamento greco, elemento certo per la grande presenza di reperti risalenti al periodo della Magna Grecia, ed oggi per la gran parte perduti a seguito dell’azione dei tombaroli, ma anche per il totale disinteresse delle istituzioni e della popolazione. Nei secoli successivi, nulla è dato sapere sulle sorti dell’abitato di Sant’Angelo, forse espugnato e saccheggiato da
altri popoli venuti dal mare, o semplicemente abbandonato per ricercare siti meglio difendibili. A tutt’oggi, si sa soltanto che la lavorazione dei terreni un tempo sede di insediamenti ha portato
alla distruzione di ingenti quantità di reperti sepolti e conservati per secoli. Dal Monte Sant’Angelo è possibile tenere sotto controllo gran parte della valle della Salandrella, e tutta la valle in fondo alla quale scorre il torrente Gruso, oltre il quale si intersecano colline boscose e pendii che si fermano all’incontro con un altopiano, quello della Piana di San Giovanni. Quest’ultimo sito si presenta come una grande pianura, attualmente oggetto di coltivazioni (per lo più grano, ma anche vigneti), in cui le tracce di un altro insediamento si fanno ancora più evidenti e si mostrano in modo palese ad ogni aratura.
Per ora l’opera di scavo è svolta dai mezzi agricoli. Basta seguire il percorso di un aratro per veder affiorare dietro il vomere frammenti di vasi di svariate dimensioni e decorazioni, antichi pesi per telai, coppi e tegole di ogni specie. Migliaia di frammenti di terracotta decorata e non, chiari segnali della presenza di un intero insediamento in cui l’arte della terracotta era estremamente sviluppata, mentre la fitta presenza di pesi di telai di ogni dimensione rivela l’esistenza di una fiorente industria tessile. Chissà, probabilmente un tempo la Salandrella aveva una portata d’acqua tale da consentirne la navigazione, e dunque potrebbe aver funzionato come ottimale via di comunicazione con il litorale ionico, con Metaponto ed Heraclea, alle quali affluivano vasellame e tessuti da avviare agli scambi commerciali con la madrepatria o con altre civiltà. Ma la zona intorno al Monte Piano presenta anche tantissime grotte scavate nel fragile ventre di arenaria di questi monti. L’unico, recente utilizzo conosciuto di queste grotte è quello di ricovero per il bestiame, ed abitazione degli addetti alla sua custodia. Si è più volte avanzata l’ipotesi che queste grotte possano essere state abitate dai monaci eremiti del periodo bizantino, rifugiatisi in queste zone dopo lo scisma d’Occidente. Ma la mancanza di studi specifici relega queste ipotesi allo stato di semplici congetture. Le grotte presentano una sola, rudimentale finestra situata sull’entrata, e quasi sempre sono orientate verso il Monte Sant’Angelo. I boschi conservano ancora nel loro ventre testimonianze del passato, come la necropoli affiorata durante alcune operazioni di scavo. E comunque, è sorprendente trovarsi a considerare che, si procede ad uno scavo per qualunque motivo, sia esso per opere idriche o altro, in certe zone è tutto un fiorire di frammenti di terracotta leggerissima. Basta un piccolo smottamento o un principio di frana nel bel mezzo di unanonimo boschetto, e ti si para davanti l’intera sezione di un’abitazione, con la copertura in coppi ancora intatta ed i muri perimetrali che ressero inizialmente il solo peso dell’abitazione, e che per millenni hanno retto alle sollecitazioni delle falde del terreno in perenne movimento.
Qui i reperti non vengono ricercati, almeno non ufficialmente, e allora sono loro stessi a farsi trovare. Basta qualche giorno di pioggia un po’ più intensa, e il dilavamento fa ciò che gli uomini non fanno. Tornano alla luce le case, quelle dei vivi e quelle dei morti, quelle dei contadini e quelle di chi apparteneva a ceti benestanti. Bisognerebbe mettere mano a tutto questo immenso patrimonio, e cominciare a tracciare le linee guida per una ricostruzione della storia di questi luoghi. Per ora, gli unici scavi archeologici vengono effettuati col vomere, e le necropoli affiorano in seguito a lavori di movimento terra. In ogni caso tutto affiora accidentalmente, dunque senza la necessaria cautela, con conseguente distruzione dei reperti da parte degli ignari scopritori. La speranza è che tutto che questo scempio si interrompa, e che finalmente si decida di conferire a questa terra tutte le attenzioni che merita.
Ma bisogna fare in fretta. I tombaroli funzionano meglio di qualunque Sovrintendenza.
Aggiornamenti: rinvenuti nuovi reperti risalenti al Paleolico.
Intanto al posto della Sovrintendenza sono arrivate le pale eoliche. Un bel parco eolico piazzato proprio sul crinale della piana ha permesso (scherzi del destino) di scoprire a poche decine di metri dal vecchio campo pieno di cocci e di pesi da telaio, un insediamento nuovo, con tracce di mura perimetrali, gli onnipresenti cocci e chissà cos'altro.
Per carità, l'energia serve a tutti e quegli oggetti, le pale, sono bellissimi e imponenti.
Spiace però constatare che mentre per loro i soldi si trovano, per custodire e preservare il nostro passato no.
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